Religione, clinica e ateismo

Se una persona parla con uno psichiatra o uno psicologo clinico parlando di voci e visioni di figure religiose si propone di attivare un percorso psichiatrico. Perché, cosa civile e francamente spassosa, è che il mondo auenticamente contemporaneo tratta tutto ciò come dispercezioni psichiatriche. A prescindere dalla religione, che sia islamica, cristiana, induista, ebraica o altro. Perché guardacaso non è mai successo che una vecchietta calabrese parli con il Dio elefante indù Ganesha o un vecchietto che ha appena bevuto l’acqua sacra del Gange veda la Madonna. L’obiezione che i suddetti pazienti e la loro rete sociale disfunzionale fanno all’operatore in questione è accusarlo di cinismo e, in nome dell’empatia (termine abusato e poco compreso) sostenere che non può capire da persona atea un miracolo. In realtà, esistono psicologi e psichiatri bravi oltre che credenti che, di fronte al blaterare basato sul nulla della maggior parte di questi testimoni e candidati santi o beati, spesso li maltrattano con una violenza e un disprezzo superiore a quello di colleghi ateo o agnostici. Del resto, pare che i processi di beatificazione -particolarmente blindati dagli uffici religiosi – possono raggiungere cifre che vanno dai 15mila ai 750mila euro, e a dirlo non sono io, ma pare l’abbia detto non io, bensì un teologo!